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Bear, bull, dot plot e dintorni: gli inglesismi della finanza spiegati da chi li usa

Avete presente tutti quegli anglicismi di cui il mondo economico e finanziario puntualmente abusa, in modo più o meno legittimo? Vi è mai capitato di sentirne utilizzare qualcuno a sproposito?

Con questa uscita di Academy, Anthilia si pone (per la seconda volta) l’obiettivo di shed some light su alcuni topic inerenti la macroeconomia e la finanza, partendo dal termine inglese che li identifica. Per farlo chiamiamo a rapporto Giuseppe Sersale, che nella rubrica quotidiana dei Lampi di Colore ne fa un utilizzo incontrollato. 

Di seguito le (altre) dieci parole che si è trovato a giustificare.

Bear market & bull market: è una terminologia legata ai trend di mercato, da cui deriva una serie di altre espressioni (bearish / bullish, permabear / permabull…) dove il mercato “toro” è quello con trend in rialzo e previsioni positive mentre il mercato “orso” fa riferimento a previsioni pessimistiche e trend decrescenti. Per fare un esempio, l’economia americana si trova ora alla fine di un lungo periodo di bull market; in Europa abbiamo invece assistito a fasi alterne. I fattori che possono far propendere per l’una o per l’altra mentalità non sono riassumibili; per parafrasare l’”it’s economy, stupid” di Clinton nel ‘92, sul medio-lungo periodo il mercato è l’economia, vale a dire che è guidato dalle condizioni macro e di business sottostanti. Sicuramente entra in gioco anche la conformazione mentale degli investitori: se si considera il mercato americano, i bull market durano molto più a lungo dei bear market, poiché considerati la condizione “normale”. 

PMI (Purchasing Managers Index): è l’indice composito dell’attività manifatturiera di un Paese, elaborato da Markit su base mensile. Il problema con la maggior parte dei dati macroeconomici è che sono backward-looking, in quanto derivano da raccolta e aggregazione di informazioni riferite al passato e scarsamente predittive di cosa accadrà in futuro. Il modo migliore per ottenere informazioni maggiormente indicative in tal senso è realizzare delle survey sulle aziende, in particolare intervistando i responsabili degli acquisti, coloro che hanno la misura migliore e la responsabilità diretta di approvvigionamenti, scorte, produzione, libro ordini e così via. Questi dati vengono poi aggregati al fine di ottenere un indice rappresentativo dell’andamento e del business di uno specifico settore. Alcune grandi economie prediligono poi altri indici: gli USA guardano l’ISM, in Giappone il Tankan (una survey trimestrale più articolata), in Germania l’IFO, la Cina ha un ufficio statistico nazionale che produce i propri PMI, di matrice anche, inevitabilmente, politica.

LTRO/TLTRO: acronimo di long term refinancing operations, si tratta di strumenti che la BCE ha creato per cercare di stimolare i prestiti alle aziende da parte delle banche nazionali, non potendo più far leva sui tassi. Con questo strumento la BCE, in cambio di un collaterale, presta alle banche la liquidità necessaria, a tasso zero o a tassi addirittura negativi. Inizialmente le banche hanno utilizzato la liquidità ricevuta per comprare altri BTP e bond, considerando l’LTRO come un vero e proprio prestito a loro favore. Più avanti si è capito che quel finanziamento avrebbe dovuto essere targeted, ovvero sia mirato alla concessione di prestiti a famiglie e aziende: con il TLTRO la BCE compie periodicamente delle verifiche sulle banche che ne hanno beneficiato, applicando condizioni più o meno vantaggiose sul prestito stesso a seconda di quanto effettivamente sia stato erogato a supporto dell’economia reale. È a tutti gli effetti una forma indiretta di Quantitative Easing, in cui la BCE non mantiene il proprio potere decisionale ma “delega” alle banche la facoltà di cosa, quanto e come finanziare. Di recente questo strumento è stato rinnovato, anche perché togliere improvvisamente questi finanziamenti alle banche, privandole di fatto del canale interbancario quale fonte di approvvigionamento, comporterebbe un brusco squeeze di liquidità con effetti significativi per gran parte degli istituti di credito.

Dot plot: il dot plot è una sorta di mappa in cui, trimestralmente, ogni membro Fed comunica anonimamente dove si aspetta che i Fed funds rate finiscano nell’anno in corso, negli anni a venire e dove cada la media di lungo periodo. Il risultato è un diagramma a punti dal quale è possibile calcolare medie e mode al fine di dedurre dove il consenso della Fed posizioni i tassi. Per il mercato si tratta di un segnale importante, nonostante poi non manchino le riflessioni sulla ponderazione di tali singole opinioni e su quale sia effettivamente la più rilevante. 

Quadruple witching: è il giorno in cui i futures sugli indici, le opzioni sugli indici, le opzioni sulle single stock e i futures sulle single stock scadono simultaneamente. Si accoda al double e al triple witching e tipicamente si tratta del terzo venerdì di marzo, giugno, settembre e dicembre. Il witching deriva il proprio nome dal “caos” che accompagna l’evento della scadenza di questi contratti. Nonostante in questa data possa in effetti verificarsi un incremento nei volumi e nelle opportunità di arbitraggio, non è detto che ciò si traduca con un incremento della volatilità dei mercati. Questo per via del peso crescente di investitori istituzionali che non modificano le proprie posizioni di lungo termine, nonché per la grande disponibilità, rispetto al passato, di strumenti di copertura con scadenze multiple nel corso dell’anno. Indubbiamente si intensificano i volumi degli scambi, in gran parte perché opzioni e futures si regolano automaticamente con operazioni di compensazione. Non è raro che, la settimana successiva al quadruple witching, gli indici di mercato come l’S&P500 tendano a diminuire, per il temporaneo esaurimento della domanda a breve termine di titoli.

FOMC: il Federal Open Market Committee è il comitato guidato dal Presidente della Fed che determina la politica monetaria americana. Si riunisce in date prestabilite con un meeting di due giorni, al termine del quale pubblica uno statement contenente le indicazioni di politica monetaria e il giudizio sull’economia in generale. Ad ogni seduta segue una conferenza stampa: questo per evitare, come accadeva in passato, che il mercato reagisse solo in seguito a un evento stampa reputando quella seduta più rilevante o significativa di altre. Questo deriva dall’intento crescente delle banche centrali di ricercare strumenti (come la dot plot) che le rendano sempre più prevedibili, in modo da preparare il più possibile il mercato alle loro decisioni.

Philly Fed: è un appellativo con cui viene chiamata la Federal Reserve Bank di Philadelphia, ma indica anche una specifica ricerca. A latere di indici come l’ISM e il PMI, ciascuna Fed locale pubblica delle proprie survey: la Philly Fed conduce una serie di ricerche sull’economia nazionale e regionale, il suo indice di produzione regionale è il secondo report pubblicato ogni mese (il primo è quello della Fed di New York) ma mantiene un’importanza strategica quale proxy delle condizioni di produzione a livello nazionale ed è altamente predittivo per quanto riguarda le prospettive per l’economia degli Stati Uniti. Al netto delle principali, le ricerche regionali andrebbero prese con le pinze: raramente hanno un andamento lineare, ragion per cui si prendono a riferimento statistiche di più ampio respiro che veicolano un dato più pulito, che non risenta troppo degli sbalzi e delle variazioni che si possono verificare in una singola area distrettuale. 

Andare short / andare long: long e short sono termini che fanno parte del gergo finanziario. Detto banalmente, long vuol dire comprare qualcosa e short venderla. Le posizioni long scommettono sul rialzo di un titolo, al contrario delle posizioni short con le quali si scommette sul suo ribasso. La strategia long è quella più comune, che si basa sul presupposto della conoscenza di una determinata azione della quale si può quindi ragionevolmente dedurre un apprezzamento nel breve o nel medio periodo. La strategia short è legata al meccanismo di vendita allo scoperto: si sceglie di vendere un pacchetto di azioni che non si possiede ma si prende in prestito (dalla banca, attraverso la piattaforma di trading) con l’obbligo di restituirlo a una data e a un prezzo prestabiliti. Se durante il periodo il prezzo delle azioni diminuisce, l’investitore acquista realmente le azioni per poterle riconsegnare alla banca, realizzando così un profitto derivante dalla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto. 

Wealth effect: è una teoria di finanza comportamentale che indica l’impatto che i movimenti di un dato mercato hanno sulla ricchezza degli individui, reale o percepita che sia, e di conseguenza sulla loro propensione al consumo. Con riferimento alla prima, i wealth effect più diretti vanno dall’aumento di stipendio al taglio delle tasse. Per quanto riguarda la ricchezza percepita, la teoria afferma che il consumatore si senta più sicuro e finanziariamente coperto se la propria casa o i propri investimenti aumentano in valore, nonostante entrate e uscite fisse non siano variate. Con un’impennata del mercato immobiliare, chi ha comprato casa cinque anni fa si sente immediatamente più ricco, anche se quell’incremento di ricchezza è solo potenziale. Stesso dicasi per chi ha un patrimonio investito in azioni durante un bull market: vedendo incrementare il valore dei propri investimenti sarà inevitabilmente più propenso al consumo, nonostante non abbia ancora realizzato quel maggior guadagno.

Animal spirits: è un’espressione coniata da Keynes per indicare il complesso di istinti che guida il comportamento umano, nello specifico in ambito economico. È qualcosa che ha a che vedere con il sentiment degli investitori dal punto di vista più umorale. Rappresenta la parte irrazionale ed emotiva, che può tendere al pessimismo, come dopo una crisi finanziaria, che rende inevitabilmente fragili i mercati e impaurisce gli investitori, o a un ingenuo ottimismo, derivante dall’audace fiducia nelle proprie speranze e aspettative: è proprio questo, secondo Keynes, uno degli elementi fondamentali alla base della ripresa economica.