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Bolle finanziarie, quel labile confine tra psicologia e avidità

Il dizionario definisce «bolla», in senso figurato, «qualcosa di fragile, inconsistente, vuoto o senza valore; un’esibizione ingannevole. Dal XVII secolo il termine è spesso applicato a schemi commerciali e finanziari illusori». Il problema è che termini come «esibizione» e «schemi» lasciano intendere una creazione deliberata, più che un fenomeno sociale ampio che avviene senza la regia di nessuno.

Così scriveva il premio Nobel Robert J. Shiller nel 2013, in contrasto con quanto affermato un paio d’anni prima tra le righe del New Yorker da Eugene Fama, padre della teoria del mercato efficiente secondo cui la parola “bolla” non è altro che un’espressione diventata di moda e priva di significato sostanziale. Shiller trova una definizione capace di rispondere alle perplessità del collega e la riporta nella seconda edizione del proprio libro Irrational Exuberance.

Una bolla speculativa è una situazione in cui la notizia di un incremento di prezzo stimola l’entusiasmo degli investitori, che si diffonde per contagio psicologico di persona in persona, ingigantendo storie capaci di giustificare l’incremento di prezzo. Tutto questo attira un ventaglio sempre più ampio di investitori che pur nutrendo dubbi sul valore reale dell’investimento ci si lanciano ugualmente, in parte per invidia del successo di altri e in parte per il brivido dell’azzardo.

I forti e improvvisi incrementi di prezzo degli asset – tulipani, azioni o immobili che siano – vengono nobilitati da una giustificazione psicologica talmente radicata da far apparire la partecipazione alla bolla un atto perfettamente razionale. Secondo Shiller, invece, questo fenomeno è paragonabile a un’epidemia, nella quale la potenza del virus coincide con la forza narrativa che una nuova storia sull’economia esercita agli occhi e sulle menti degli investitori.

Nel 2009 il Governo degli Stati Uniti ha cercato di capirci di più, provando ad unire i puntini che collegano la Grande Depressione alla crisi immobiliare del 2007 tramite lunghe interviste a chi in quest’ultima è rimasto coinvolto. Tra i grandi convocati dal Financial Crisis Inquiry Committee – una commissione bipartisan formata da sei rappresentanti di ciascun partito – figurava Warren Buffett, che proprio nel biennio 2008-2009 ha applicato con successo il proprio mantra “be fearful when others are greedy and greedy when others are fearful” rastrellando azioni ed elargendo prestiti ad aziende più o meno colpite dalla crisi appena esplosa, conseguendo a pochi anni di distanza profitti miliardari.

Stando a quanto Buffett dichiara nell’intervista:

Una bolla finanziaria si genera quando una parte sufficientemente ampia della popolazione acquista qualcosa in base a considerazioni che all’inizio del processo erano sensate ma che col tempo tendono a distorcersi, facendo dimenticare agli investitori quelle iniziali considerazioni sensate e portandoli a concentrarsi sempre di più sulla sola dinamica dei prezzi.

Del resto, come affermava il mentore dello stesso Buffett, l’economista Ben Graham, circa cinquant’anni prima, si possono avere molti più problemi investendo sulla base di solide premesse che non sulla base di premesse false. Come ad esempio quella secondo cui il prezzo delle case non sarebbe mai sceso.

Ne parliamo con Giuseppe Sersale, Partner, co-gestore di Anthilia Blue e autore dei Lampi di Colore.

Come potremmo riassumere le caratteristiche di una bolla finanziaria?

Gli elementi alla base della creazione di una bolla sono tre: quotazioni, narrativa e sentiment. Ci si trova in una bolla quando le quotazioni di un asset si sganciano in misura significativa dal loro fair value, il tutto accompagnato da una narrativa adeguata a supporto di tali irragionevoli quotazioni – il nuovo paradigma, la nuova tecnologia, il semplice “it’s different this time” – e da un clima di euforia generale da parte degli operatori del mercato. Spesso questi fenomeni sono accompagnati da ampie manifestazioni del cosiddetto “turismo finanziario” che si verifica quando un mercato o un asset sono oggetto di interesse da parte di categorie di investitori che normalmente non vi partecipano. Chiari esempi di questi comportamenti si sono notati negli scorsi decenni quando orde di risparmiatori si sono avventurate in mercati da specialisti come bonds emergenti o high yield.

È possibile riconoscerla in tempo?

Per un investitore esperto, non è difficile rendersi conto dell’incipit di una bolla: la narrativa inizia a farsi strada, la fase di accumulo prende piede e la base di investitori comincia ad allargarsi. Molto più complesso è determinare quando questa raggiunge il culmine, per poi sgonfiarsi. Questo perché solitamente questi fenomeni durano assai di più di quanto sarebbe ragionevole aspettarsi, con il risultato che chi desidera trarre profitto dallo scoppio viene esposto a lunghi periodi di ritorni negativi. Anche chi, individuando l’eccesso di valutazione evita l’asset class, può subire pesanti pressioni. Warren Buffett non ha investito un singolo dollaro nelle dotcom all’inizio degli anni duemila: è stato detto di lui che non fosse in grado di comprendere pienamente il business delle aziende tecnologiche. Inutile dire che, per la maggioranza dei casi, ha avuto ragione.

Quando si capisce che una bolla sta per scoppiare?

Come accadde allora, la bolla inizia a sgonfiarsi quando la popolazione di investitori non è più in grado di aumentare. La progressione geometrica degli investitori e dei capitali arriva a saturazione e quei corsi non vengono più sostenuti. Non sono solo i mercati finanziari a perderci: nel caso dotcom tra gli sconfitti vi sono stati anche coloro che hanno investito nella creazione di un’azienda tecnologica per stare al passo con la new economy. Quando i profitti promessi non sono arrivati ne è derivata una recessione, che seppur non particolarmente grave – dato anche il settore relativamente circoscritto – ha fatto crollare il Nasdaq-100 di quasi l’80% rispetto al picco precedentemente registrato.

Oltre ai bulbi di tulipano, alla crisi del ‘29 e alle dotcom, quali altre bolle vale la pena ricordare?

Appena prima della Grande Depressione c’è stata una bolla immobiliare in Florida, quando le condizioni economiche particolarmente agiate permisero anche alla middle-class di potersi imbarcare in investimenti di real estate, concedendosi una proprietà in quella meta dal clima mediterraneo che in quel momento rappresentava un must have. I prezzi delle case – da quelle sulla costa a quelle in pieno entroterra – sono quadruplicati nel giro di un anno, fino a che, nel 1925, l’interesse si è smorzato, gli investitori hanno iniziato a vendere per monetizzare e il mercato immobiliare è crollato sotto il suo stesso peso. A fine anni ‘80 c’è stata poi la bolla degli high yield. Inizialmente, questi strumenti fornirono alle aziende in situazione di tensione finanziaria di superare la crisi di liquidità, offrendo nel contempo agli investitori ritorni interessanti. Ma il loro successo indusse gli operatori a farli emettere anche ad aziende in crisi industriale e persino a imprese già praticamente fallite, grazie ad un mercato che assorbiva qualsiasi quantitativo. Quando si è capito che i rimborsi non sarebbero mai arrivati e che molte aziende andavano incontro alla bancarotta, il mercato dei junk bond è crollato, e la FED ha dovuto portare in salvo tutte le casse di risparmio locali che stavano collassando insieme alle aziende che avevano finanziato.

Se le bolle sono tanto riconoscibili, perché la maggior parte degli investitori non ne sta alla larga?

Una parte di questi viene influenzato dalla narrativa e si lascia trasportare dal clamore in modo del tutto irrazionale. C’è poi chi punta alla corsa all’oro, facendosi prendere dalla frenesia che accompagna il rischio di perdere l’opportunità di arricchirsi. In entrambi i casi si diventa totalmente miopi, aggrappandosi alla teoria del “greater fool”, secondo cui chi compra è certo di trovare un acquirente ancora più sconsiderato che comprerà da lui a un prezzo superiore. La maggior parte dei partecipanti ad una bolla non si fa troppe domande: non importa a quale multiplo si acquistano delle azioni se dilaga la convinzione che quelle azioni arricchiranno tremendamente chi le possiede.

C’è qualche bolla attualmente in corso?

Sui bond c’è una discussione aperta: le valutazioni sono estreme – rendimenti negativi o pari a frazioni di punto all’anno, sganciati da qualsiasi ragionevole remunerazione al capitale che viene immobilizzato – e accompagnate da una narrativa piuttosto intensa: un mondo talmente affogato nel debito che i tassi non potranno mai salire e la presenza di investitori con tasche potenzialmente inesauribili come le banche centrali. Tuttavia manca l’elemento dell’euforia, che mal si addice ad un asset class come i bond considerata più sicura e meno volatile rispetto all’azionario. L’investimento in obbligazionario risulta per alcune categorie una scelta obbligata o quasi, il che rende la questione della gestione di eventuali eccessi assai delicata per le autorità monetarie.

E se fosse una bolla?

Come negli altri casi, il rischio è di andare incontro a perdite ingenti. Un’eventuale fine del periodo di crescita e inflazione contenute potrebbe portare ad un violento rimbalzo dei rendimenti, anche di diversi punti percentuali. Ciò si tradurrebbe in forti perdite sulle scadenze più lunghe, tanto più dolorose in quanto patite su asset solitamente stabili come i bond. Viceversa, il redde rationem potrebbe venire dall’adozione di misure estreme per ridurre l’indebitamento globale, come la monetizzazione. Dovesse, ad esempio, la BCE optare per una cancellazione di parte dei titoli sul suo bilancio, gli effetti collaterali del brusco calo del rapporto debito/PIL sarebbero probabilmente una violenta salita dell’inflazione e una contingente svalutazione della divisa. L’epilogo delle varie bolle è sempre lo stesso, il che dovrebbe, col tempo, contribuire a ridurne la frequenza. Purtroppo, come in altri campi, il pubblico dimentica rapidamente le lezioni della storia.

Quello che è certo risiede ancora una volta nelle parole di Shiller:

Le bolle speculative non terminano come un racconto, un romanzo o un’opera teatrale. Non c’è uno scioglimento finale che riconduce tutti i fili di una narrazione verso una conclusione a effetto. Nel mondo reale, non sappiamo mai quando una storia è finita.