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Cosa è successo sul cambio euro dollaro nell’ultimo mese

A partire dal mese di luglio, l’euro si è progressivamente apprezzato rispetto al dollaro, tanto che il cambio è rapidamente salito fino a sforare temporaneamente l’1.20, un livello impensabile fino 3 mesi fa quando il cambio si manteneva pressoché stabile tra l’1.08 e l’1.09. Dietro a questa repentina corsa della divisa unica (o crollo del dollaro) vi sono stati molteplici fattori:

  • la forza dell’euro dopo l’accordo in sede europea sul Recovery Fund che ha dato un forte messaggio di coesione politica;
  • il venir meno della funzione di bene rifugio del dollaro una volta terminato il panico da Covid;
  • un differenziale dei tassi sempre più sottile da rendere il dollaro sempre meno interessante;
  • una Fed con uno spazio di manovra decisamente superiore rispetto alla BCE.

E così il dollaro, a partire da fine maggio, ha messo a segno una prima gamba del suo ribasso (da 1.08 a 1.13) per poi, dopo l’accordo sul Recovery Fund, proseguire con una seconda, che lo ha portato fino in area 1.18, un livello che non si vedeva dal 2018.

Successivamente, a fine agosto, in occasione dell’appuntamento di Jackson Hole, Powell ha comunicato ufficialmente quanto ormai ampiamente atteso dai mercati (ovvero il cambio di target di politica monetaria), levando ulteriormente supporto al dollaro. Lo speech tenuto da Jerome Powell al Jackson Hall ha segnato un cambio di strategia importante sintetizzabile in due punti:

  • target d’inflazione medio in un determinato lasso temporale e non più puntuale come in precedenza;
  • maggior attenzione all’occupazione in fasi di deterioramento e di deviazione a ribasso rispetto al livello di piena occupazione.

Tale cambio di strategia della FED è tutt’altro che di poco conto e di fatto implica che la FED, in futuro, sarà disposta ad accettare periodi d’inflazione anche superiori al 2%, riporrà maggiore attenzione all’occupazione e che, pertanto, la politica monetaria della Banca resterà ampiamente accomodante ancora più a lungo di quanto sarebbe stato altrimenti.

È in tale contesto che si inserisce il meeting della BCE di oggi pomeriggio. In sintesi, si può dire che servirà una performance in grado di bilanciare, in senso dovish, quella di Powell, in modo da impedire un ulteriore apprezzamento della divisa unica, che avrebbe, inevitabilmente, un impatto significativamente negativo sull’inflazione e sul contesto macro già ampiamente sotto stress.

Venendo infine alle aspettative, è probabile che, almeno in questa fase, l’ECB non abbia intenzione di sbilanciarsi eccessivamente con nuove misure espansive e che preferisca piuttosto conservare la propria potenza di fuoco nel caso in cui i famosi “downside risks” dovessero effettivamente materializzarsi. Tuttavia, la BCE dispone di un’altra importante arma, la retorica, ed è probabile che sceglierà proprio questa per il meeting di oggi. Una retorica particolarmente incisiva, eventuali riferimenti diretti al cambio euro-dollaro (come l’intervento di Lane della scorsa settimana che ha permesso all’euro di frenare la sua corsa) o particolare enfasi sui downside risk finirebbero senz’altro per generare l’effetto desiderato senza dover per forza ricorrere alle poche munizioni rimaste.