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Oro, la linea di confine tra bene rifugio e mezzo speculativo è sottile

L’oro è da sempre un asset rifugio, ma ultimamente le speculazioni sul metallo giallo sono aumentate a vista d’occhio. Il metallo prezioso permette di conservare il valore reale del capitale e, in vista di una politica espansiva, rimarrà un appiglio sicuro. Per sfruttarne i rialzi in modo speculativo è meglio puntare sui gold miners.

Durante la crisi del coronavirus, vari asset hanno registrato una forte crescita e, tra questi l’oro. Da inizio anno, il prezzo del metallo giallo è aumentato di oltre il 25% e verso la metà agosto la quotazione di un’oncia d’oro, che già aveva raggiunto un nuovo massimo storico, si aggirava intorno alla tanto acclamata soglia dei 2000 dollari. Da allora, un piccolo ritracciamento aveva portato il prezzo del future intorno a quota 1950, salvo poi crollare negli scorsi quattro giorni di contrattazioni al valore attuale di 1.858 dollari circa (-0,52%).

Tale ribasso può essere facilmente imputabile ad un netto rafforzamento del dollaro: infatti, così come un deprezzamento del biglietto verde causa una crescita nel valore delle altre valute, che a sua volta porta ad un aumento della domanda (e dei prezzi) delle materie prime, tanto vale il contrario.

Stando a quanto citato in un report di Anthilia Capital Partners SGR, il NYSE Arca Goldminers index nell’ultimo periodo si è apprezzato più dell’oro. Questa sovraperformance è del tutto normale, dato che il settore è esposto a leva sul metallo, ma il rapporto tra i due andamenti si trova ancora su livelli storicamente bassi, decisamente nella parte inferiore del range. I cosiddetti bear market dell’oro (1996-2000 e 2011-2015) hanno prodotto una marcata sottoperformance dei Gold Miners (circa il -80%), anche se raffrontando l’andamento dgoldlle quotazioni del metallo prezioso con quelle dei produttori tuttavia la correlazione non appare stabile: nella prima parte del bull market 2000-2011 (fino al 2003) si è osservata una “outperformance” importante dei produttori, mentre nella seconda parte (2004-2011) è corrisposta una sottoperformance in relativo dei Gold Miners rispetto all’ascesa stellare del metallo giallo.

Le motivazioni di questo comportamento possono essere diverse, anche se il discorso è in primis legato ai costi: l’esplosione del prezzo dell’oro negli anni 2000 ha portato in dote un aumento dei costi d’estrazione, fattore d’ostacolo all’aumento dei margini. Inoltre, a porre i presupposti per la sottoperformance può essere stata, almeno in parte, la performance dei tre anni precedenti, che ha visto l’indice apprezzarsi di quasi il 600% ed i multipli del settore esplodere. Infine, la prima parte di un rally del sottostante dovrebbe essere quella che porta i margini a crescere più rapidamente. Le aziende vengono da un bear market, hanno tagliato i costi e sono più efficienti (e le più deboli sono state eliminate). Il ciclo dei capex non è ancora partito, e l’aumento del cashflow si trasforma in utili.

Dunque, se l’oro conservasse i livelli attuali o, ancor meglio, riuscisse a proseguire il suo rally, è lecito aspettarsi una sovraperformance delle azioni aurifere? Secondo Anthilia, l’impressione è che il settore non abbia ancora espresso tutto il suo potenziale relativo e rappresenti un elemento di attenzione per diverse ragioni. Innanzitutto, si parla di un rally tutto sommato giovane, con l’oro è uscito solo da poco più di un anno dal range che lo ha contenuto dal 2013 a metà 2019. Inoltre, i margini sono ai massimi storici, il che offre qualche supporto alla teoria che la prima parte del rally è quella che impatta di più, prima che l’aumento dei margini faccia esplodere il capex e attiri i competitors. Infine, è probabile che, se i prezzi del metallo continueranno ad essere sostenuti, gli eps del settore potranno apprezzarsi ulteriormente nei prossimi trimestri dai livelli minimi in cui li ha tenuti compressi il bear market (quest’ultimo è risultato pesante per il settore perché seguito da un periodo di forte rialzo dei costi).

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