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L’incognita USA tra presidenziali e stimolo fiscale

Sembra non trovare tregua lo scontro tra Democratici e Repubblicani sul nuovo piano di stimolo fiscale, sul quale ancora non si trova un accordo. Motivo del contendere è principalmente l’ammontare da destinare al rinnovo delle misure d’emergenza varate in piena crisi e ad altri nuovi strumenti per salvaguardare la ripresa economica di questi mesi. Da un lato i Democratici vorrebbero un pacchetto più che coraggioso (in alcune dichiarazioni ha raggiunto addirittura i 3.5 trilioni), mentre dall’altro i Repubblicani opterebbero per un piano decisamente più conservativo.

Nel corso delle ultime settimane le forze politiche hanno intensificato i negoziati, tanto che sembrava si fosse raggiunto un compromesso tra il Segretario del Tesoro, Mnuchin, e la portavoce democratica, Nancy Pelosi. In ottica di compromesso i Democratici hanno progressivamente ridimensionato le proprie richieste sino ad arrivare ad accontentarsi di una misura da 2.2 trilioni. I Repubblicani, dal canto loro, si erano lasciati andare sempre più, fino a proporre un piano da 1.62 trilioni estendibile fino a 2 trilioni in caso di un perdurare della crisi sanitaria. Insomma, per dirla tutta, sembrava fatta e i mercati sembravano abbracciare questa ipotesi. Fino a pochi giorni fa. Martedì infatti, il Presidente US, appena rientrato alla Casa Bianca dopo il ricovero ospedaliero per Covid, ha improvvisamente deciso interrompere bruscamente le trattative. E lo ha fatto, come spesso accade, con un tweet in cui chiedeva ai suoi di rimandare ogni discussione sul varo del nuovo piano di stimolo a dopo le elezioni.

Difficile sapere con certezza quali siano le ragioni dietro a questo improvviso cambio di rotta, avvenuto, per di più, a pochi minuti dall’ennesimo appello del Chairman della FED Powell, che invocava nuovamente un coordinamento tra politica monetaria e fiscale, al fine di garantire tutto il sostegno necessario all’economia in una fase così delicata. C’è chi ci vede un ricatto agli elettori in vista delle Presidenziali, chi invece una mossa strategica per assicurarsi maggiore forza contrattuale con i Democratici; chi uno schiaffo diretto a Powell, dal quale si vorrebbe maggiore stimolo fin da subito, chi un effetto collaterale del Covid e della febbre alta di questi giorni. Insomma, impossibile dire con certezza quali siano le ragioni ma una cosa è certa: le conseguenze per l’economia USA (e globale) in assenza di un nuovo stimolo fiscale rischiano di essere disastrose tra fallimenti, disoccupazione e mancati consumi.

Uno dei primi aspetti critici da considerare è la possibile nuova ondata di licenziamenti di massa che diverse aziende, in profonda crisi, si troveranno costrette a mettere in atto in caso di mancanza di sussidi governativi. Non sono mancati infatti in questi giorni i comunicati di grandi imprese US in cui si annunciavano importanti riduzioni d’organico: è il caso delle compagnie aeree, delle banche, di Walt Disney e di tanti altri big dell’economia US in difficoltà in seguito alla crisi di questa primavera. Una situazione di questo tipo finirebbe inevitabilmente per gettare nel baratro il mercato del lavoro statunitense, già ampiamente scosso dall’emergenza e che fatica non poco a riprendersi. Inoltre, diversamente da quanto accadeva nei mesi scorsi, con l’estate sono ormai terminati anche i sussidi diretti alle famiglie, motivo per cui, in assenza di nuove misure a diretto sostegno dei cittadini, i disoccupati attuali e futuri rischiano di trovarsi con un reddito disponibile drasticamente ridotto. Immediate quindi le conseguenze in termini di propensione alla spesa, cosa che rischia di aggravare la situazione di un sistema produttivo già ampiamente sotto stress.

Figura 1: Disoccupazione in calo ma ancora ben lontana dai livelli pre-cisi

Figura 2: Reddito disponibile in calo con la fine dei sussidi

Figura 3: Consumer Confidence settimanale ancora lontana dai livelli pre-crisi